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Regione Veneto

 

Osservazioni al progetto di legge: “ disposizioni per l’istituzione del fondo regionale per la non autosufficienza e sua disciplina”

Premessa:

persone anziane non autosufficienti e persone con disabilità grave

La relazione che accompagna la proposta di legge “disposizioni per l’istituzione del fondo per la non autosufficienza e sua disciplina” licenziata dalla 5° commissione consiliare fornisce un’interessante introduzione sul quadro demoscopico previsionale del fenomeno dell’invecchiamento della popolazione nel Veneto. La relazione afferma la necessità di stringere un nuovo patto sociale volto a reperire risorse “integrative” adeguate a sostenere i bisogni delle persone non autosufficienti; un “fondo solidaristico capace di allargare il sistema di protezione sociale regionale, idoneo a garantire una sostanziale espansione delle risposte, un incremento qualitativo dei livelli essenziali di assistenza, una distribuzione del rischio finanziario”.

L’analisi del testo, rispetto alle intenzioni evidenzia invece una carenza di risposte e una sostanziale genericità. Inoltre, i problemi che da molti anni sono oggetto di confronto con le associazioni di tutela e con le organizzazioni sindacali non trovano soluzione; non si affronta la questione dell’esigibilità dei servizi e per quanto riguarda la "misura delle prestazioni" si ipotizzano soluzioni che rischiano di essere penalizzanti per le persone e le famiglie. Il fatto che nella legislazione italiana la non autosufficienza non sia normata e che i livelli essenziali di assistenza sociale non siano ancora stati definiti, in spregio alla Costituzione, costringe la Regione a decidere in proprio che cosa si intenda per "non autosufficienza" e quali siano le persone non autosufficienti destinatarie delle prestazioni del Fondo.    

Le persone anziane diventano non autosufficienti a causa di malattie, in particolare ictus, infarti, demenza senile, alzheimer ecc, mentre le persone con disabilità grave e permanente non sono in grado di compiere gli atti quotidiani ed hanno bisogno di assistenza continuativa per tutta la vita prima di “approdare” all’età anziana. 

La Regione Veneto con l’istituzione del Fondo per la non autosufficienza potrebbe dimostrare la propria lungimiranza e capacità di dare risposte a problemi antichi ed esigenze nuove dando attuazione alla “Convenzione internazionale sui diritti delle persone con disabilità” recentemente ratificata dal Parlamento.  

Con il Fondo per la non autosufficienza si dovrebbe a nostro avviso stabilire che:

  •  gli anziani malati cronici "non autosufficienti" devono essere presi in carico dalla sanità e le cure devono essere garantite con continuità, senza interruzioni e limiti di durata, anche dopo la fase acuta.

  •  i comuni debbono attenersi alle disposizioni previste dall’articolo 25 della legge 328/2000 e ai decreti legislativi 109/1998 e 130/2000, in  base ai quali non può essere chiesto alcun contributo economico ai parenti, compresi quelli conviventi, degli assistiti non autosufficienti di età superiore ai 65 anni, nonché ai soggetti con handicap in situazione di gravità.

  •  alle persone con disabilità permanente, in situazione di gravità, devono essere garantiti interventi e servizi certi ed esigibili, senza interruzione, in base ai bisogni.     

Se il fondo per la non autosufficienza affrontasse questi aspetti e prevedesse un finanziamento a copertura delle spese sostenute dai Comuni per l’integrazione, in luogo dei familiari, delle rette di degenza nelle RSA e strutture analoghe avrebbe l’indiscutibile merito di risolvere un contenzioso tutt’ora aperto eliminando una delle cause che concorrono all’impoverimento dei nuclei familiari.

 Per quanto riguarda le prestazioni socio-sanitarie rivolte agli adulti e agli anziani con patologie stabilizzate e non autosufficienza, ai sensi dell’articolo 25 della legge 328/2000 e dei decreti legislativi 109/1998 e 130//2000, i ricoverati presso Rsa (Residenze sanitarie assistenziali) e strutture analoghe devono corrispondere la quota alberghiera (che, come prevedono il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 novembre 2001 e l’articolo 54 della legge 289/2002 non può in nessun caso essere superiore al 50% dell’importo della retta totale) esclusivamente nell’ambito delle loro personali risorse economiche, senza alcun onere per i congiunti, compresi quelli conviventi. La quota alberghiera deve essere calcolata tenendo conto degli impegni economici del ricoverato, inclusi quelli relativi al mantenimento del coniuge e di altri congiunti.

 DESTINATARI: la definizione di “non autosufficienza” - l’esigibilità delle prestazioni

ART 2 comma 1 del PdL: “Ai fini della presente legge è non autosufficiente la persona che, in relazione all’età, solo con l’aiuto determinante di altri, può provvedere alla cura della propria persona e può mantenere una normale vita di relazione”.

La definizione contenuta nel testo in esame è generica. Non chiarisce se ci si riferisce agli invalidi totali o parziali, ai minori, agli adulti, agli anziani: tutti non autosufficienti affidati alla discrezionalità senza appello delle UVMD. In base a tale formulazione è impossibile analizzare i diversi bisogni delle persone anziane e delle persone con disabilità e le competenze istituzionali che dovrebbero farvi fronte garantendo le prestazioni necessarie. Va sottolineato che a tutt’oggi le UVMD non utilizzano l’ICF come strumento di valutazione.

La Regione deve prendere atto che esiste una questione sottovalutata e non affrontata che riguarda la “situazione di gravità” di molte persone adulte con disabilità, costrette a vivere  in molti casi con le sole provvidenze economiche dello Stato e dovrebbe stabilire  che  sono "non autosufficienti" le persone che «non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, abbisognano di un’assistenza continuativa» (legge 11/02/1980, n. 18 istitutiva dell’assegno di accompagnamento).

Parliamo di persone che vivono in RSA, in comunità alloggio o  presso il proprio domicilio, da sole o con l’amorevole sostegno dei familiari; persone con disabilità intellettive fisiche e sensoriali, in situazione di gravità, che oggi non ricevono servizi sanitari ed assistenziali adeguati.

Le persone con disabilità intellettive hanno bisogno di centri riabilitativi diurni (da innovare e rendere ancor più rispondenti alle necessità delle persone, ma indispensabili),  di comunità alloggio a carattere familiare (essendo sconsigliabile il ricovero in istituti), di un robusto servizio di assistenza domiciliare diretta ed indiretta, di interventi di sostegno e sollievo come ad esempio gli inserimenti temporanei in comunità e di ulteriori interventi che aiutino le persone a conquistare una maggiore autonomia personale.

Le persone con disabilità fisica e sensoriale in grado di autodeterminarsi, ma non in grado di svolgere autonomamente le funzioni essenziali della vita devono poter beneficiare innanzitutto di un servizio di assistenza personalizzata, in particolare degli interventi denominati "progetti di assistenza per la Vita Indipendente", gestiti in forma indiretta.

Il sistema della domiciliarità deve essere sostenuto tramite il potenziamento di tutti gli interventi e servizi  attualmente in essere. 

Alle persone con disabilità, in situazione di gravità, vanno garantite prestazioni certe ed esigibili, in base ai bisogni. Alle persone anziane non autosufficienti, va garantita la possibilità di invecchiare serenamente nella propria abitazione, se lo desiderano, accanto alle persone care.

Senza voler stabilire un ordine di priorità risulta evidente che si tratta di interventi diversi destinati a persone con bisogni diversi che devono essere affrontati tramite i piani individuali come prevede la “328”.

Riscrivere il capitolo sulla misura delle prestazioni

Eliminare i riferimenti alle provvidenze economiche

E' necessario innanzitutto evitare che il fondo per la non autosufficienza si presenti come l’ennesima legge quadro di riordino degli interventi e dei servizi.

Ci preoccupa quanto disposto dall’articolo 6 - Misura delle prestazioni - e in particolare il comma 3: “per i beneficiari delle prestazioni a carico del Fondo che percepiscono l’indennità di accompagnamento, l’importo di cui al comma 1 è ridotto in misura pari alla somma percepita”. Non è coerente con la dichiarazione che le risorse del Fondo hanno natura integrativa e non sostitutiva e rasenta la collisione con la "328" ed i diritti soggettivi, visto che l’indennità di accompagnamento in base al progetto di legge concorre al finanziamento del piano individualizzato.

Il progetto di residenzialità comprende già ora l’utilizzo dell’indennità di accompa-gnamento da parte dei comuni, mentre non è così e non può essere diversamente per le prestazioni semi residenziali e domiciliari, cioè per la frequenza dei centri diurni, per l’assistenza domiciliare e integrata, per l’aiuto aiuto personale e familiare, per i progetti di vita indipendente, l’assegno di cura, il telesoccorso, il sollievo, ecc.. 

Le provvidenze erogate dallo Stato e i servizi di assistenza previsti dal sistema della domiciliarità non permettono alle persone in situazione di gravità una vita dignitosa e serena, ma solo la mera sopravvivenza. Le provvidenze economiche sono oltretutto già usate per integrare l’insufficiente servizio di assistenza; toglierle significherebbe rendere impossibile la vita a casa propria.

Sull’importo massimo erogabile

Tenuto conto che l'ammontare dell'indennità di accompagnamento ai sensi della legge 18/1980 è di 472 euro mensili, se l’importo massimo del Fondo venisse indicato in euro 1.350 (com'era ad esempio previsto dal progetto di legge 131) si determinerebbe un peggioramento della situazione dei destinatari del Fondo.

La pluralità di prestazioni attualmente erogate alle persone con disabilità in situazione di gravità prescinde da un tetto massimo di spesa. L’introduzione di una simile misura modificherebbe profondamente il rapporto tra servizi erogabili e bisogni.

 

Preoccupa il potere discrezionale delle UVMD

 La proposta attribuisce alle Unità Valutati­ve Multidimensionali Distrettuali ogni potere riguar­dante l'individuazione degli interventi ritenuti neces­sari per gli anziani non autosufficienti (prestazioni domiciliari, degenza presso strutture semiresiden­ziali e residenziali, ecc.) e l'ammontare del contribu­to. E’ preoccupante che il proget­to di legge in esame non contenga alcuna disposi­zione volta a consentire ai cittadini di presentare ricorsi contro le decisioni assunte dall’UVMD sia per quanto concerne il diritto all'erogazione del contributo per la non autosufficienza sia per l’ammontare dello stesso.

Nella proposta licenziata dalla 5° Commissione tale possibilità non è prevista. Sottolineiamo, con tutto rispetto, e senza alcun dubbio sul fatto che le UVMD si esprimano in scienza e coscienza, che gli operatori componenti l’Unita valutativa sono dipendenti delle Aziende Sanitarie Locali e dei Comuni: è concreto il rischio che diventino strutture con finalità e interessi unilaterali, viziate da “conflitto d’interesse”.

 

Sistema delle autonomie e ruolo programmatorio dei comuni

Per i motivi sopra esposti, è sorprendente che i comuni, in capo ai quali stanno le funzioni programmatorie in tema di disabilità, non siano stati resi partecipi nella definizione della proposta di legge. Non viene chiarito ad esempio se i comuni manterrano l'autonomia gestionale in materia di assistenza domiciliare o se dovranno esclusivamente concorrere alla spesa. Senza nulla togliere all’autonoma potestà legislativa della Regione e all’esercizio delle sue funzioni di indirizzo delle politiche sociali, riteniamo che i comuni debbano essere pienamente coinvolti in ossequio a quel principio di leale collaborazione “che dovrebbe, permeare i rapporti tra i diversi livelli del sistema delle autonomie”. Le funzioni programmatorie dei comuni si esplicitano con la costruzione dei piani di zona e devono a nostro avviso trovare un pieno e sostanziale raccordo con gli indirizzi regionali.

 

Incostituzionale e lesivo dei diritti il riferimento ai cinque anni di residenza per beneficiare degli interventi previsti dal Fondo

 Il Fondo della Regione Veneto per la non autosuf­ficienza non riguarda tutti i cittadini, ma esclusiva­mente «i residenti nel Veneto da almeno cinque anni continuativi».

Di conseguenza coloro che trasferiscono la loro abitazione nel Veneto, per cinque anni sono privi di ogni tutela e quindi se diventano non autosufficien­ti, devono provvedere con le proprie risorse econo­miche.

In Veneto è facile comprendere per quale ragione faccia parte di un testo sulla non autosufficienza. Ci limitiamo a sottolinearne l’evidente incostituzionalità e suggeriamo agli estensori la lettura dell’art 19 della “Convenzione internazionale sui diritti delle persone con disabilità” ratificata dal Parlamento italiano il 24 febbraio scorso. 

LE ORGANIZZAZIONI ADERENTI ALLA FISH VENETO CHIEDONO AL CONSIGLIO REGIONALE L’APERTURA DI UNA CONSULTAZIONE CON L’ASSOCIAZIONISMO DI TUTELA E AUSPICANO UNA PROFONDA REVISIONE DEL PROGETTO DI LEGGE SULLA NON AUTOSUFFICIENZA.

 

L’Ufficio di Presidenza della FISH Veneto

Ivano Platolino,

Maddalena Borigo

Flavio Savoldi

 

Belluno, 16 maggio 2009

FISH

Re   Regione Veneto

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